Nel covo delle Tigri

Come tutte le storie avvincenti, anche questa è iniziata un po’ per caso un po’ per fortuna: amici, amici di amici, il posto giusto al momento giusto, un telefono libero, un talentuoso ragazzone mantovano di 16 anni malato di rugby e un volo diretto da Bergamo a East Midlands.

Gli anglosassoni – che questo gioco l’hanno inventato – ci vedono lungo quando si parla di rugbisti e appena hanno visto Riccardo si sono subito agitati. ”Potential big player!” – “Ma quanti anni ha?” “Ma in che ruolo gioca” “Good!” “Big Boy”. “Facciamo una telefonata all’Academy dei Leicester Tigers e gli organizziamo un week trial (che in parole povere è il vecchio provino) di una settimana. Non ci lasciamo scappare nessuno noi dei Leicester Tigers se sentiamo profumo di talento.

Appena arrivati al Oval Park, sede del centro di allenamento dei Tigers veniamo accolti da un ambiente semplice ma impeccabile. Un paio di campi perfetti, palestra senza fronzoli per gente che spinge, armonia e sorrisi, una club house niente più che normale e tanti giocatori che come in tutti i Club del mondo si allenano, corrono, sollevano pesi, fanno girare palloni, provano mischie o touche: niente di nuovo per un campo da rugby. Che poi questi giocatori fossero Scott Hamilton, Geordan Murphy, Martin Castrogiovanni, Alesana Tuilagi, Julian White, Marcos Ayerza poco conta. Per un ragazzino son robe grosse. Son robe grosse anche per un ragazzino di 40 anni. “Welcome lads, Riccardo lo prendiamo in consegna noi. Lo vestiamo gli diamo da mangiare, dormire e lo alleniamo“ – tuona Neil (ex pilone di Bath, Bristol e Gloucester) il Gran Capo dell’Academy dei Leicester che da anni rifornisce con il suo lavoro i serbatoi della prima squadra garantendo che uno dei Club al massimo livello planertario possa contare su di un organico costruito per più della metà da giocatori prodotti in casa.

Non sembrava vero quando dopo due giorni di lavoro, di studio e attenta osservazione, di test e di pasto al fianco dei più forti giocatori al mondo, il buon Neil mi si avvicinasse dicendomi “Forse domani Riccardo gioca, forse una mezz’oretta, forse di più. Forse. Contro i Cardiff Blues”. “Oh la Madonna!

Il giorno dopo Riccardo gioca sul serio. I Cardiff Blues arrivano su un pulman col logo della squadra, vestiti e tirati come quelli grandi. Non si direbbe che sono ragazzini di 15 o 16 anni. Impeccabili, seri, compatti e belli da vedere vestiti di un bel celeste “light blue”: giovani uomini con solo il rugby e tanto successo nel loro futuro.

Riccardo esce dallo spogliatoio con i suoi compagni dei Tigers. Divisa d’ordinanza a strisce verdi bianche e rosse pantaloncini verdi. Si, quella che si vede in televisione. Numero 2 sulla schiena, ci viene un sussulto al me e al buon Panigalli. La partita è dura velocissima. Il rugby anglosassone è duro tanto perchè predilige incoraggia il contatto, lo scontro la sfida e l’aggressione: il movimento di palla viene dopo. I ragazzini lo imparano da subito… sennò vai a giocare a calcio. Non molti italiani si sono messi quella divisa – forse un paio a parte il Brugna – e la pressione è tanta. Gambe lente, idee fumose e tanta tensione anche se il Brugna passa più tempo sul campo da rugby che a casa sua. Tuttavia i lanci in touche sono molto buoni, gli ingaggi in mischia e la pulizia sulle ruck di qualità, anche la posizione sul campo è sapiente. “Dai Big boy tocca qualche palla! Cerca la palla prendila e portala nel gioco tira sotto qualcuno, fai metri”. Niente. Dopo 15 minuti da una ruck sotto i pali la palla non arriva, ma Riccardo la cerca, se la prende da terra, pesta forte e si tuffa sotto i pali. Jella nera! Il pallone sguscia da sotto l’ascella. Niente meta.

Dopo 19 minuti, in sostegno dietro la sua apertura, sbuca il buon Riccardo. In mezzo ai 22 metri. Un po’ spostato sulla destra. Palla che esce veloce dalla ruck, passaggio corto del 10 sull’asse e 15 metri di corsa tuffo in mezzo ai pali. Meta! Oleee! Ha segnato proprio lui! Robe da non credere. Erano zero a zero e ha segnato proprio lui. E’ certo che la sua partita cambierà in meglio. Purtroppo una crisi di crampi non lo fa alzare più e la sua performance finisce sotto i pali. Amen va bene così. Più che bene. Pacche sulle spalle si incoraggiamento, compagni di squadra e divertimento sempre in ogni caso: anche a Leicester.

Il resto della settimana è altro rugby, altri templi, altri santuari. Solo da spettatori per ora: Twickenham, il Middlesex Seven vissuto dalla panchina, due parole con Delon Armitage, lo stadio degli Scarlets, una birra con Stephen Jones, un bel pranzo con Julian White, Nottingham in tribuna.

E l’avventura continua anche sotto lo sguardo bonario di Castro, un grandissimo personaggio: primo supporter del Brugna in terra inglese. Fuori e dentro il campo Castro è un misto tra una rock star e il tuo migliore amico, quello grosso che non ci sono mai problemi perché c’è lui.

Well done, Riccardo!

PS: la differenza tra il Leicester come squadra e come Club rispetto a qualsiasi altra squadra e qualsiasi altro club anche italiano? Lì Il Club fa di tutto e dà tutto ciò che può ai propri giocatori. I giocatori fanno tutto ciò che possono e danno tutto ciò che hanno al Club. Nessuno vuole essere il primo a deludere la squadra e il Club intero.

(Mbeguin)